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7 marzo 2012 3 07 /03 /marzo /2012 15:42

 

Il prof. Beria del Politecnico di Milano ci spiega perché l'Alta Velocità in Italia è partita male. L'analisi costi-benefici è sfavorevole all'opera. [Antonella Marrone]

di Antonella Marrone da www.globalist.it

Alta Velocità. «Come arriva il numero la discussione si sposta. Diventa ideologica». Ricordatevi questa frase. Un concetto espresso anche da Travaglio, qualche sera fa nella trasmissione Servizio Pubblico. Ma che ci ha detto un docente del Politecnico di Milano, il prof. Paolo Beria, che con il suo collega ricercatore, Raffaele Grimaldi, al Diap di Milano (il dipartimento di Architettura e Pianificazione) hanno elaborato uno studio molto interessante sull'Alta velocità? Interessante se si vuole dare ascolto alle cifre, insomma.

Dati tecnici per governo tecnico. I risultati sono stati pubblicati con il titolo "An early evaluation of italian high speed projects" (Una prima valutazione dell'Alta Velocità in Italia) da TeMa, la rivista del Laboratorio Territorio Mobilità Ambiente del Dipartimento di Pianificazione e Scienza del Territorio dell'Università "Federico II" di Napoli. Qui si propongono ricerche, sperimentazioni e contributi che affrontano con un approccio unitario i temi dell'urbanistica e della mobilità. Una lettura che l'attuale governo, tecnico per eccellenza, dovrebbe assolutamente fare.

I conti esatti. Forse è arrivato il momento di uscire dalla retorica che avvolge l'Alta velocità in Italia. «Direi di si. Per questo noi abbiamo affrontato con uno studio scientifico il rapporto tra costi e benefici dell'Alta Velocità», risponde il prof. Beria. Cominciamo, proviamo a rendere facile questa lettura, che magari qualche tecnico si convince. I dati elaborati da Beria e Grimaldi sono quelli relativi alla domanda, rinvenuti sui comunicati stampa ufficiali di Fs (molto pochi, per la verità), oltre ai costi di investimento, i costi di esercizio e di manutenzione. Dall'altra parte vengono stimati i benefici in termini di risparmi di costi e risparmio di tempo per i passeggeri. Gli indicatori non sono stati scelti arbitrariamente, ma sono stati utilizzati standard internazionali.

Costi-benefici. «Tanto per cominciare l'Alta velocità in Italia, iniziata 20 anni fa, ci è costata 32 miliardi. Ci siamo chiesti: quanti passeggeri "occorrono" per giustificare questo costo? quanti passeggeri per singola tratta? Quanta domanda c'è per le Frecce? Abbiamo scorporato la tratta Firenze-Roma perché esisteva già prima del 1992 e abbiamo analizzato, ex post, le tratte Firenze-Bologna, Bologna-Milano, Milano-Torino, Roma-Napoli per dare un giudizio». Prendete nota: la tratta Milano-Torino è costata circa 8 miliardi. Perché l'investimento risulti giustificato dovrebbe trasportare 14 milioni di passeggeri l'anno. Attualmente ne trasporta 1, 5 mentre Trenitalia aveva fatto una stima di due milioni e cento. Tempo risparmiato: 32 minuti».

Sovradimensionato. «Non ci vuole molto a comprendere che è stato un progetto sovradimensionato. La tratta più affollata e utilizzata, la Firenze - Bologna, trasporta ben 10 milioni di persone l'anno, ma per coprire l'investimento ce ne vorrebbero 20 milioni l'anno. Il risparmio di tempo è di:14 minuti. In questo caso la linea è certamente necessaria al resto della rete, ma il risultato sconta l'enorme costo di investimento che è stato necessario. L'unica tratta i cui costi saranno nel medio periodo giustificati dalla domanda e dai risparmi di tempo è la Bologna - Milano. «Infine Roma-Napoli, 3 milioni di passeggeri. Trenitalia ne aveva previsti 4,6 milioni, ma in realtà per coprire l'investimento ne servirebbero 8. Il risparmio di tempo: 35 minuti. Come si vede il risultato è marginale».

Lo vuole l'Europa. L'opposizione maggiore a chi si oppone alla costruzione della Torino-Lione, è il ritornello: «Ce lo chiede l'Europa». «Ecco, non è vero. L'Europa venti anni fa aveva immaginato una rete transeuropea in cui erano ovviamente inserite le linee italiane. Ma era una pianificazione "leggera", relativa solo al "ruolo" internazionale di alcune linee e che chiedeva poi ai singoli Stati di realizzare i progetti. Non ci ha chiesto di spendere miliardi in collegamenti inutili».

Come la mettiamo con le merci? Devono viaggiare più veloci, ci ripetono. «Le merci non hanno bisogno di velocità e la linea del Frejus è un valico alpino poco utilizzato. La Torino-Lione nasce come linea per passeggeri, poi diventa anche merci perché si capisce che la domanda di passeggeri non c'è. Si può leggere negli studi ufficiali a favore della linea. E per come è il progetto oggi, non è una linea su cui investire se non sul nodo di Torino e sulla tratta della valle col trasporto dei pendolari. Se i lavori fossero stati suddivisi per zone, avrebbero dovuto partire da Torino, che è la tratta più problematica e arrivare per ultimi alla Val di Susa valutando se la crescita della domanda giustificava effettivamente anche il tunnel».

Filosofia superata. Parliamo di investimenti colossali per trasporti che la gente usa poco: diciamo la verità, l'Alta Velocità, in tempi di aerei low-cost, più che una roba di modernità, sembra una cosa antica. «Fu pensata quando non esisteva il trasporto aereo che c'è oggi. Sulla lunga percorrenza ha già perso. è chiaro. Inoltre non sono stati fatti studi sui modelli e quindi si rischia di continuare nell'errore di fare investimenti eccessivi per tratte non utilizzate. Penso alla futura Milano-Venezia. Se si usa lo stesso modello della Milano-Torino, ossia un "missile" con pochissime fermate, non sarà certamente un buon investimento. Probabilmente andrebbe studiato un modello che preveda una linea con più fermate e meno velocità».

Ma in Europa come hanno fatto? «Intanto non esiste un unico sistema "alta velocità". Ad esempio, nei paesi di lingua tedesca, dato il loro modello insediativo fatto di molte città medie, si punta più all'integrazione tra le linee che alla pura velocità. Poi l'analisi costi-benefici si fa prima di iniziare una grande opera e dopo che sono stati presi in esame progetti diversi». In Italia si fa l'opposto: progetto, inizio lavori e, dei benefici non interessa nessuno, se non, forse, chi fa affari con tutto questo. «Oggi non è conveniente per i treni merci viaggiare sull' Alta Velocità. Eppure la rete è stata costruita anche per il trasporto merci. Il che l'ha resa più costosa, ma non ci sono studi rigorosi che giustificassero questo investimento».

Complesso, semplice e complicato. Torniamo alla nostra frase iniziale. Quando i numeri entrano in campo, la discussione si sposta facilmente dai fatti alla ideologia. O non inizia proprio, la discussione, come è successo con Bersani nello studio di Santoro. Accade per la Tav (non sono mai stati chiariti del tutto, sia in sede tecnica che tantomeno con l'opinione pubblica, i benefici veri dell'opera, attraverso un' analisi costi benefici molto complessa, non riproducibile e con alcuni punti importanti non convincenti), ma in generale accade quando si vorrebbe semplificare una realtà complessa. La semplificazione, nell'ultimo paio di decenni almeno, ci è stata spacciata come un "bisogno", un bisogno indotto, indotto dalla vacuità della politica, dal distacco con il mondo reale, dal leaderismo, dall'autoreferenzialità, dal sistema dell'informazione. Improvvisamente ci hanno detto che avevamo bisogno di semplificare ogni cosa politica e sociale, esattamente come avevamo (senza saperlo) un irrefrenabile bisogno del pelapatate elettrico.

Politica e semplicità. Il movimento della Valle di Susa, può probabilmente aiutare la politica a scuotersi, a risvegliarsi, e magari a scoprire che c'è bisogno di semplicità, invece. Che è cosa ben diversa. Ovvero fare semplicemente il proprio dovere per un bene comune, studiare i dati, proporre soluzioni, riattivare il dialogo. Ostinarsi a ripetere, come un mantra, che la Tav si farà ad ogni costo, è una semplificazione che rende banalmente complicata una situazione complessa.

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