Sono il Circolo PRC-FdS di Torri di Quartesolo (VI). Sono nato il 25 settembre 2011, da un gruppo di compagni indignati, che si prefigono di cambiare lo stato delle cose atuali. Il mio scopo è di farmi portavoce delle vertenze dei movimenti cittadini che riguardano il territorio nord-est vicentino, (Quinto Vicentino, Monticello ConteOtto, Longare, Grumolo delle Abadesse, Caldogno, Bolzano Vicentino, Camisano Vicentino). Affronto tematiche in campo ambientale e sociale e faccio mie le lotte per
Irene Rui, responsabile provinciale politiche migratorie, Rifondazione Comunista - Il Consiglio Comunale di Torri di Quartesolo ha approvato all'unanimità il 28 febbraio 2012 un "regolamento e schema di convenzione per la gestione e l'uso dell'area comunale di via Longare e per percorsi di inclusione socio-lavorativa di famiglie rom presenti nel territorio comunale". Il progetto si riferisce unicamente alle due famiglie Halilovic residenti da anni in Via Tribolo, nel Palù di Marola, area soggetta ad esondazione del Tribolo.
Famiglie costrette al nomadismo per fenomeni di esondazione. In via Tribolo circa una decina di anni fa, tre famiglie rom e sinti - Halilovic il proprietario approfittando della scarsa
conoscenza di queste persone del territorio e delle leggi urbanistiche, ha venduto i terreni con la promessa che vi avrebbero potuto edificare. Con le prime piogge le famiglie si sono rese
conto del raggiro, ma troppo tardi. La famiglia Pevarello vive a Castelfranco, mentre gli Halilovic che al tempo avevano scarse risorse hanno continuato a risiedere nell'area priva di
sottoservizi e servizi igienici-sanitari spostandosi al bisogno. L'Amministrazione Comunale di Torri di Quartesolo aveva quindi, il dovere di aiutare queste famiglie. Le famiglie seguite da
prima da Opera Nomadi e poi dalla Caritas (che segue da tempo tutta il clan Halilovic presente a Vicenza) si sono rivolte all'Amministrazione Comunale per sanare la questione. Da qui è nato il
progetto per il quale è stato votato il regolamento e la convenzione sull'uso dell'area comunale di Via Longare. Si è fatto quindi un passo a favore degli Halilovic, ma a che prezzo?
L'area di via Longare è innanzitutto un'area inclusa tra il viadotto autostradale della Valdastico Nord e la tangenziale (che scorre a distanza ravvicinata, con tanto di via di fuga per via
Longare) e il centro commerciale "Le Piramidi", dove trova sede anche un'antenna della telefonia cellulare. Senz'altro la zona è migliore di quella di via Tribolo, ma soggetta ad inquinamento
elettromagnetico, a scarichi automobilistici e non in sicurezza per i bambini a meno che non rimangano rinchiusi nei circa 300mq. complessivi dell'area assegnata. Il terreno ora privo di
sottoservizi e servizi, sarà attrezzato con piazzole atte ad ospitare le due famiglie che vi risiederanno con i loro mezzi.
La convenzione verrà stipulata tra il Comune, le famiglie Halilovic e la Caritas la quale si assume il compito di gestire e accompagnare nel percorso di inclusione sociale le famiglie rom.
Or dunque da una prima lettura il progetto può sembrare buono, rispettoso delle normative regionali, italiane e comunitarie, ma poi leggendo approfonditamente il regolamento e la convenzione si
notano degli elementi che ci lasciano perplessi.
Non è concesso, innanzitutto, alle famiglie, che per un processo naturale si allargano a seguito di una unione dei figli, la residenza degli stessi nell'area, poiché si prende come esempio la
famiglia tipo dell'ultimo ventennio del novecento e non quella allargata. Si considera cioè come famiglia madre, padre e figli e non il relativo allargamento parentale. Nella lettura si nota,
anche, che tutti i mezzi di proprietà "dovranno essere parcheggiati alla fine della giornata (!) nell'area comunale assegnata"; che se le famiglie si allontanano per più di due giorni (breve
vacanza) dovranno lasciar libera la piazzola; dovranno comunicare entro 24 ore dal giorno lavorativo qualsiasi variazione della composizione familiare, o dei mezzi di proprietà, o delle unità
abitative; dovranno comunicare al sindaco a breve termine, "l'uscita della propria famiglia per periodi superiori ad un mese". "L'uscita dall'area comunale del nucleo familiare che non sia
stato preventivamente comunicato... comporta l'uscita definitiva dall'area e non ne è consentito il rientro". La presenza abusiva "di persone, famiglie, mezzi abitativi, auto, furgoni, camion o
altri mezzi" non segnalati, "all'interno dell'area individuati dalla polizia locale o da altre forze dell'ordine, verrà disposto l'allontanamento, anche coatto" dei soggetti o dei proprietari
dei mezzi. E ancora "Le famiglie che utilizzano l'area di sosta devono rispettare le regole di un corretto comportamento a garanzia di una disciplinata vita comunitaria, sia all'interno che
all'esterno dell'area di sosta". E ancora la concessione sarà revocata e le persone saranno allontanate per il non rispetto sia di quanto sopra, sia per non aver seguito i figli nel percorso
scolastico, sia per non aver vigilato sui figli, ma anche per "reiterato e immotivato rifiuto di accogliere proposte di inserimento lavorativo per sé o di formazione professionale per i
componenti del proprio nucleo familiare".
Praticamente la residenza nell'area comunale è vincolata dal rispetto delle regole di cui sopra e ad altre che si trovano trascritte nel regolamento e nella convenzione per l'uso dell'area.
Regole imposte dalla cultura maggioritaria, senza tenere conto e rispettare quella rom, considerata dagli amministratori primitiva e non evoluta. Si nota inoltre, nei documenti, la presenza di
luoghi comuni supportati purtroppo da alcuni fatti, dove non si analizza il perché di determinati comportamenti e si interviene con imposizioni e addomesticamento nascosto dietro l'opera
caritatevole di inclusione, integrazione a senso unico, e non si fa una vera opera di interazione-integrazione sociale. O meglio la si fa su modello della cultura maggioritaria.
Si fa presente primo, che se i ragazzi non vanno a scuola, probabilmente c'è un disagio sociale a monte, dove questi si sentono discriminati sia dai propri coetanei sia, a volte, dagli
insegnanti che non capiscono e non conoscono la loro cultura, la loro lingua, il romanì; secondo, che fare manghel non è accattonaggio (anche se può sembrare) e fa parte della cultura rom, al
quale di solito si dedicano le donne, considerarlo quindi, alla pari di un reato, se fatto con discrezione, è eccessivo; terzo, non considerare la famiglia allargata costringendo i figli ad
emigrare in altri siti fuori dal comune o al nomadismo, è poco rispettoso oltre che per le famiglie, anche della cultura rom che considera la famiglia al di sopra di ogni interesse e non
comprende il perché i figli devono uscire dalla tribù. A tale proposito inviterei gli amministratori e gli operatori a riflettere sulla famiglia allargata della vecchia campagna veneta.
Infine, costringere i rom ad un percorso lavorativo preordinato e regolamentato da leggi maggioritarie occidentali, è una violenza nei loro confronti e un ulteriore non rispetto della loro
cultura. Il lavoro non è un dovere, il rispetto della famiglia è un dovere.
Il progetto che l'Amministrazione Comunale e la Caritas intendono portare avanti, non ci sembra rispettoso né della cultura rom, né dei diritti civili che questi nostri concittadini dovrebbero
godere grazie alla Costituzione Italiana. Non si può giudicare positivamente l'azione, anche se da la possibilità di regolarizzare una situazione insostenibile per le stesse famiglie, ma è da
chiedersi a quale costo? Il prezzo da pagare è la perdita della propria cultura e della dignità, che pur non essendo simile alla nostra va rispettata.