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6 maggio 2011 5 06 /05 /maggio /2011 20:28

 

Checchino Antonini, www.liberazione.it


«Sappiamo dove prenderli e sappiamo dove metterli». Sta parlando di soldi Paolo Ferrero e della campagna sociale «di lunga durata», specifica, con cui la Federazione della sinistra prova a spiegare che dalla crisi si può uscire migliorando le condizioni di vita di chi è stato colpito, in questi anni, da tagli, licenziamenti, perdita del potere d'acquisto. Con una scelta di tempo azzeccata, Ferrero, segretario nazionale di Rifondazione, lancia la campagna alla vigilia dello sciopero generale e 48 prima dell'assemblea annuale di Confindustria, ospitata sabato a Bergamo, e che sarà assediata dalla presenza «rumorosa», promette Ferrero, di chi ha in mente un'altra idea di uscita dalla crisi. Segnaliamo, sul sito di Liberazione, la lettera aperta al sindacato dei padroni scritta da Ezio Locatelli e Ugo Boghetta, portavoce, rispettivamente di Bergamo e della Lombardia della Fds: "La lumpen-borghesia italiana".
Parola chiave della campagna, sul piano comunicativo, è "futuro" declinata con i temi portanti - lavoro, ambiente, salario, reddito, pace, conoscenza, equità - che compongono una piattaforma che rappresenta un «passo avanti per la Federazione della sinistra che ha recepito gli obiettivi delle grandi mobilitazioni in corso, da Mirafiori agli studenti», dice Manuela Palermi del Pdci, intervenuta alla presentazione della campagna assieme a Gianni Vigilante di Socialismo 2000. Anche quest'ultimo sottolinea l'elemento innovativo della piattaforma, dentro un panorama istituzionale che nemmeno si interroga sulla natura della crisi e sulle vie d'uscita.
Sul piano dei contenuti è Roberta Fantozzi, della segreteria nazionale di Rifondazione comunista, a entrare nei dettagli. «Più che in altri Paesi dell'area Ocse - spiega - da noi la diseguaglianza è cresciuta maggiormente». Infatti, il crollo del monte salari è iniziato nel '76 e, trent'anni dopo pesava dieci punti in meno sul Pil: c'è da ringraziare le ristrutturazioni, l'erosione della contrattazione collettiva, la dilagante precarizzazione. Ma anche il fisco che, nel medesimo arco di tempo pesa del 12% in più sui salari più bassi che hanno perso più di 50mila euro negli ultimi 29 anni. Oggi il salario netto medio è di 1260 euro mensili. Su trenta Paesi Ocse siamo al 23° posto mentre "conquistiamo" il sesto posto per i livelli di disuguaglianza. I compensi dei cento manager più pagati potrebbero pagare i salari di 35mila lavoratori. Non così il monte profitti-rendite-grandi compensi che, negli ultimi quindici anni è schizzato del 75,4%. A scendere sono gli investimenti in rapporto ai profitti: meno 39%.
Ancora un po' di cifre, necessarie per comprendere il realismo della piattaforma con cui la Federazione proverà a rendersi visibile in strade, piazze e vertenze. Bankitalia rivela che il 10% più ricco possiede il 45% della ricchezza immobiliare e finanziaria. La metà della popolazione non arriva nemmeno al 10% di quella torta. E l'un per cento, i ricchissimi, detengono il 13% del patrimonio complessivo proprio la stessa porzione che deve spartirsi il 60% della popolazione. E, mentre ciascuno di loro, ogni giorno, fa i conti con la crisi, c'è chi - ad esempio Berlusconi, proprio lui - fa i conti. Punto. E il suo pallottoliere registra che dai 6 miliardi e mezzo che possedeva due anni fa è schizzato ai 9 dell'anno scorso.
«Basterebbe tassare dell'un per cento le famiglie con più di 800mila euro di reddito per ammucchiare un tesoretto di 18 miliardi», spiega Roberta Fantozzi. Se si recuperasse il 10% dell'evasione fiscale, se le rendite fossero tassate come nel resto d'Europa al 20% anziché al 12%, se si tassassero le transazioni dello 0, 05%. Tutti questi se fanno 40 miliardi capaci di far aumentare di 100 euro al mese i salari e le pensioni solo abbassando l'aliquota Irpef; di trovare 500 euro al mese per i disoccupati che sono 2 milioni 147mila persone in carne e ossa. E avanzerebbero 4 miliardi di euro per le politiche sociali oggi falcidiate dai tagli.
Insomma la soluzione c'è e non è nemmeno massimalista.
Difendere il lavoro che c'è è un altro obiettivo della piattaforma. A cominciare dal contrasto alle delocalizzazioni che costituiscono l'ingrediente principale dei ricatti padronali e sottraggono occupazione, diritti e contribuiscono all'emergenza ambientale quando fanno viaggiare le merci anche solo per essere assemblate. La Federazione della sinistra chiede che le imprese che fanno i bagagli restituiscano i contributi pubblici ricevuti e che si vincoli la destinazione d'uso delle aree che loro dismettono per impedire la speculazione finanziaria ed edilizia.
Un taglio agli sprechi e ai privilegi della politica, peraltro continuamente evocato dalla retorica populista, potrebbe agevolmente recuperare quei 2,2 miliardi sufficienti alla stabilizzazione di tutti i 240mila precari della pubblica amministrazione metà dei quali sono a rischio licenziamento per gli effetti dell'ultima finanziaria.
Per misurare l'internità di queste rivendicazioni alle mobilitazioni in corso è utile considerare la sovrapponibilità della piattaforma con quelle elaborate dalle campagne per il disarmo. Il taglio delle spese militari - un tesoro di 24,4 miliardi - dirotterebbe fondi sulla scuola pubblica penalizzata dai tagli e dal dirottamento di soldi verso l'istruzione privata. In soldoni la scuola ha perso 140mila posti di lavoro e l'emorragia ha colpito in pieno il sistema universitario. Così l'Italia, per spesa militare procapite, è al 3° posto nel mondo e al 5° in Europa mentre è al 21° nella classifica della spesa per la conoscenza.
Naturalmente, tutto ciò non può prescindere dal ripensamento delle politiche ambientali. Uscire dalla crisi significa uscire da questo modello di produzione energivoro, vorace di ambiente e beni comuni. La piattaforma, in questo caso, coincide con le battaglie referendarie per l'acqua e contro il nucleare e con le mobilitazioni dei territori contro le grandi opere.

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