Sono il Circolo PRC-FdS di Torri di Quartesolo (VI). Sono nato il 25 settembre 2011, da un gruppo di compagni indignati, che si prefigono di cambiare lo stato delle cose atuali. Il mio scopo è di farmi portavoce delle vertenze dei movimenti cittadini che riguardano il territorio nord-est vicentino, (Quinto Vicentino, Monticello ConteOtto, Longare, Grumolo delle Abadesse, Caldogno, Bolzano Vicentino, Camisano Vicentino). Affronto tematiche in campo ambientale e sociale e faccio mie le lotte per
"Lo studio della partecipazione femminile alla Resistenza è quasi tutto da fare. A trent’anni dalla Liberazione, non si è proceduto ancora a raccogliere i dati precisi riguardanti le donne
partigiane, patriote o appartenenti ai Gruppi di difesa. L’apporto femminile alla Resistenza viene in genere incluso nel dato complessivo. Per il Piemonte, si hanno ancora le cifre presentate da
Ada Gobetti nel 1953: 99 partigiane cadute, 185 deportate, 36 cadute civili. Questi dati vennero poi inclusi dall’ANPI nella statistica regionale complessiva, secondo cui i caduti partigiani
sarebbero 5598 e i civili 600. Per quanto riguarda le donne, il calcolo è sicuramente molto al di sotto della realtà: valga per tutti l’esempio di Giovanna e Marcella Prato di Mondovì, vittime
che Rita Martini ricorda nel nostro libro ma che non risultano nell’elenco nominativo delle cadute ripubblicato nel 1974 tale e quale a quello del 1953 a cura del Consiglio regionale del
Piemonte.
La lotta partigiana vide le donne nei GAP, nelle SAP, nelle formazioni di pianura e di montagna, nell’organizzazione di scioperi e agitazioni esclusivamente femminili (si pensi alle grandi
manifestazioni seguite a Torino alla morte delle sorelle Arduino) nelle carceri, sotto la tortura ( e seppero non parlare!), nella diffusione della stampa clandestina, nelle pericolosissime
missioni di collegamento. Non solo come "mamme" dei partigiani o vivandiere o infermiere di ribelli affamati o feriti, anche se furono pure questo, e quando tutto ciò poteva significare
l’arresto, l’incendio della casa , la fucilazione. Le donne furono le saldissime maglie della rete, rischiando spesso più degli uomini perché, se catturate, il nemico riservava loro violenze
carnali che in genere ai maschi non toccavano.
Nel ridimensionamento, anzi nella polverizzazione che " il vento del Sud " portò ai valori sociali della Resistenza in nome della continuità dello stato, le donne partigiane furono doppiamente
tradite: dalle forze politiche tradizionali e in molti casi, più dolorosamente, dagli stessi compagni di lotta.
Dopo la Liberazione la maggior parte degli uomini considerò naturale rinchiudere nuovamente in casa le donne. Il 6 maggio 1945 Tersilla Fenoglio non poté neppure partecipare alla grande sfilata
delle forze della Resistenza a Torino. "Ma tu sei una donna!", si sente rispondere da un compagno di lotta nell’estate del 1945 la partigiana Maria Rovano, quando chiede spiegazione dei gradi
riconosciuti soltanto ad altri. E a Barge, il vicario riceve il brevetto partigiano prima di lei. E Nelia Benissone? Dopo aver organizzato assalti ai docks, addestrato gappisti e sappisti,
lanciato bombe molotov contro convogli in partenza per la Germania, disarmato militari fascisti per la strada, anche da sola, e dopo essere stata nel 1945 responsabile militare del suo settore,
non sarà forse riconosciuta dalla Commissione regionale come "soldato semplice"?
In fondo anche per molti uomini di sinistra le partigiane combattenti avevano trasgredito la vocazione domestica. Quindi essi preferivano pensare che le donne avessero agito più per amor loro che
per autonoma scelta politica. E’ certo comunque che gli uomini non erano molto disposti a concedere alle donne riconoscimenti, cariche e poteri. In un documento del Comando della I Divisione
Garibaldi "Piemonte" del 16 settembre 1944, riguardante le direttive per la costituzione di organismi popolari, si legge, per esempio: "nei limiti delle possibilità e sempre che vi siano i
requisiti adatti, un elemento femminile può essere ammesso a far parte di detto organismo".
Alla fine della lotta armata la stragrande maggioranza delle donne non si fece avanti per ritirare medaglie e riconoscimenti. Molte, vedendo come avvenivano le assegnazioni, si astennero
deliberatamente dal chiederle per non confondersi con i partigiani del 26 aprile. Anche per questo, le statistiche che indicano la partecipazione femminile alla Resistenza sono così poco
attendibili.
Ma si può cogliere un altro movente di tale atteggiamento: chiamate dalla storia degli uomini a combattere in prima persona in un mondo in sfacelo, le donne agirono per risolvere i problemi di
tutti, non per fare carriera e ottenere posizioni di comando, come è fondamentale movente, a volte magari involontario e inconscio, dell’attività maschile. Esse, pur tenute fuori a lungo dalla
storia, si esposero senza esitare ai rischi della guerra partigiana, ma nella massima parte non vollero impugnare le armi, questo simbolo di prepotere maschilista.
Del resto, indipendentemente dei mezzi usati nella lotta, si distinsero dagli uomini soprattutto per i modi e la qualità della loro partecipazione. I valori e i caratteri del mondo femminile,
sviluppatisi durante la millenaria soggezione e in risposta a questa, diedero alla Resistenza una ricchezza e una completezza che non avrebbe altrimenti raggiunto. Fra questi caratteri, come si
potrà notare leggendo le vite delle nostre intervistate, risaltano la spontaneità, il rifiuto del calcolo, il senso di giustizia, la capacità appassionata di amare e soffrire, il rispetto
antiretorico della verità dei fatti e dei sentimenti ("avevamo paura", dichiarano candidamente), la generosità comunicativa, la modestia, la pietà. Esse sentivano, come tutti gli oppressi, che
non combattevano solo contro il fascismo, ma anche e soprattutto contro la disuguaglianza e l’ingiustizia: tuttavia raramente trovarono compagni che parlassero loro della specifica oppressione
femminile. Non si dimentichi che anche i quadri più preparati erano ligi ai dettami della Terza Internazionale che nel suo III Congresso, pur richiedendo un’intensa attività organizzativa tra le
masse femminili, aveva negato l’esistenza di una "particolare questione femminile". Non si dimentichi che nei suoi ultimi documenti la stessa Terza Internazionale aveva rimandato tale questione
alla presa del potere socialista, additando come modello la donna sovietica, sottoposta in pratica al duplice lavoro, in casa e in fabbrica. Erano gli stessi uomini che nei gelidi anni Trenta
videro allontanare la Kollontaj, censurare la Zetkin (e non polemizzare con lei, come invece aveva fatto Lenin), esaltare lo stakhanovismo. Se ancora oggi, tra certi compagni di stretta
ortodossia, la parola "femminismo" è pronunziata con sospetto, se non con disprezzo, figuriamoci nel 1943-45!"
Da "La Resistenza taciuta", di A.M. Bruzzone e R. Farina, La Pietra, 1976.