Sono il Circolo PRC-FdS di Torri di Quartesolo (VI). Sono nato il 25 settembre 2011, da un gruppo di compagni indignati, che si prefigono di cambiare lo stato delle cose atuali. Il mio scopo è di farmi portavoce delle vertenze dei movimenti cittadini che riguardano il territorio nord-est vicentino, (Quinto Vicentino, Monticello ConteOtto, Longare, Grumolo delle Abadesse, Caldogno, Bolzano Vicentino, Camisano Vicentino). Affronto tematiche in campo ambientale e sociale e faccio mie le lotte per
In un articolo del il "IL GIORNALE DI VICENZA" di martedì 25 Agosto 2009 a p. 11, traspare l'agravvarsi della crisi economica già per altro annuciata da
studiosi, ricercatori e politici non governativi. A Vicenza si legge nel quotidiano "la recessione ha raggiunto il più alto impatto sull’occupazione: in provincia il primato veneto degli
ammortizzatori. I prossimi mesi saranno decisivi" e continua "Lavoro, 600 posti in meno al mese, a Vicenza il record di cassintegrati. Nei primi
sette mesi dell’anno 4.400 lavoratori in mobilità Cig straordinaria per 3.500, il triplo rispetto a tutto il 2008.
A Vicenza il record di cassintegrati. l’estate peggiore del Dopoguerra. Mai crisi economica aveva messo così tanto le mani in tasca ai vicentini come quest’anno. Lo dicono i numeri: la cassa
integrazione ha toccato migliaia di lavoratori in decine e decine di aziende. A luglio, un’autentica esplosione: oltre 2 milioni 114 mila ore - quasi il doppio del mese precedente, in cui erano
state 1 milione 224 mila, e il quintuplo rispetto a gennaio, quando furono 400 mila - fanno di Vicenza la primatista veneta in questa poco invidiabile classifica. E anche i numeri dei lavoratori
in mobilità sono da record: poco più di duemila in tutto il 2008; ben 4 mila 400 solo nei primi sette mesi di quest’anno. È quanto emerge da fonti sindacali e provinciali: in altre parole, oltre
600 posti di lavoro al mese persi per strada.
AUTUNNO CALDO. Archiviate le ferie, aziende e lavoratori tornano a fare i conti con la crisi. C’è un briciolo di risveglio - confortante - dei mercati internazionali che potrà dare frutti nei
prossimi mesi. Il malato, dunque, potrebbe perciò essere sulla strada di una lenta e difficile guarigione. Ma intanto le ferite dovute al crollo dei mesi scorsi, culminato a luglio, con
tinueranno a far male e a lungo. Fuori di metafora: l’autunno rischia di essere uno stremante banco di prova per diverse piccole o micro imprese che finora hanno saputo parare il colpo.
CASSA INTEGRAZIONE. Un’assistenza fondamentale al mondo del lavoro è giunta dagli ammortizzatori sociali, cassa integrazione guadagni (Cig) in primis: quella ordinaria, per far fronte a cali
periodici della produzione; quella straordinaria, nei casi di ristrutturazione aziendale, a volte preludio ai licenziamenti. Vicenza primeggia in Veneto con oltre 7 milioni 400 mila ore richieste
dall’inizio dell’anno (su 33 milioni), ! complice il suo profilo economico-produttivo incentrato sul settore manufatturiero, il più colpito dalla crisi.
BOOM DELLA CIGS. In particolare, nelle ultime settimane, c’è stato un boom della Cig straordinaria. Se in tutto il 2007 aveva coinvolto poco più di 1.100 lavoratori e l’anno scorso solo un
centinaio di più, quest’anno è schizzata in altro spaventosamente: nel primo semestre ha toccato oltre 3.500 persone.
PICCOLE AZIENDE. È il grande plotone delle piccole e piccolissime aziende che ora segna il passo. Sono aziende per le quali è stato approntato il salvagente della “cassa integrazione in deroga”.
Anche qui, nel primo semestre, Vicenza è da primato: per numero di aziende (1.101 su 2.908 venete), di lavoratori interessati (6.072 su 16.600) e per ore richieste (3,8 milioni su 9,3 milioni), e
per costi: 31 milioni di euro su 77 milioni totali.
PER LA CENTRALItà del lavoro
- una proposta di discussione -
Perché la lotta sindacale diventi un fattore rivoluzionario occorre che il proletariato l'accompagni con la lotta politica, cioè che il proletariato abbia coscienza di essere il protagonista di una lotta generale che investe tutte le questioni più vitali dell'organizzazione sociale, cioè abbia coscienza di lottare per il socialismo. L'elemento "spontaneità" non è sufficiente per la lotta rivoluzionaria: esso non porta mai la classe operaia oltre i limiti della democrazia borghese esistente. E' necessario l'elemento coscienza, l'elemento "ideologico", cioè la comprensione delle condizioni in cui si lotta, dei rapporti sociali in cui l'operaio vive, delle tendenze fondamentali che operano nel sistema di questi rapporti, del processo di sviluppo che la società subisce per l'esistenza nel suo seno di antagonismi irriducibili, ecc.
(Antonio Gramsci - Per una preparazione ideologica di massa – aprile/maggio 1925)
Negli ultimi decenni c’è stato un progressivo allontanamento della politica da quello che dovrebbe essere il naturale obiettivo delle forze che si richiamano ai principi e ai valori costituzionali: l’interesse dei lavoratori. Il benessere e i diritti di chi vive del proprio lavoro non sono stati più obiettivi centrali e prioritari del progetto di società proposto dalle forze politiche ma hanno assunto progressivamente un ruolo di fatto marginale. È stata ipotizzata la definitiva chiusura di un’epoca e con essa è stata decretata la fine della classe operaia e, in subordine, di chiunque viva del proprio lavoro. Non solo si sono considerati superati (relegandoli a un ricordo ideale) i concetti di “lotta di classe” e di “coscienza di classe” ma gli stessi partiti di massa si sono trasformati in “partiti leggeri”, in pratica partiti di opinione, con un sempre minore radicamento nel territorio e nei luoghi di lavoro. In questa trasformazione, oltre a considerare ormai politicamente ininfluente chi vive del proprio lavoro, molto ha significato l’oblio di quegli ideali che dovrebbero essere alla base della nostra azione politica. Si è avuta la succube accettazione di una sconfitta ritenuta inevitabile.
Sempre più spesso si è ritenuto che l’interlocutore privilegiato per qualsiasi possibile sviluppo fosse l’impresa, che il mercato si potesse autoregolare e, con l’accettazione acritica delle richieste delle organizzazioni padronali, fatalmente, si sono modificati obiettivi, politiche e la stessa società. è stata, da parte delle forze progressiste di sinistra, una sorta di “occupazione di posizioni sempre più arretrate” che ha portato a sconfitte sempre più pesanti per i lavoratori e a un “sonno della ragione” che ha impedito qualsiasi azione efficace volta al cambiamento dei rapporti di forza. È stata una sconfitta epocale che, esasperando e favorendo le privatizzazioni, ha cancellato il ruolo fondamentale dello Stato nello sviluppo industriale del Paese e nella regolamentazione dell’economia e ha regalato ai capitalisti la possibilità di trasformare la ricchezza industriale in speculazione finanziaria seguendo l’obiettivo del profitto alto, immediato e ottenuto con qualsiasi mezzo. La scelta ideologica di privatizzare tutto, anche i settori strategici a partire dalle grandi banche statali, ha portato alla distruzione di interi comparti produttivi un tempo fonte di ricchezza (anche grazie alla partecipazione dello Stato) ed ora sostanzialmente privi di futuro. La storia recente ci ha insegnato che l’obiettivo di realizzare e sviluppare il diritto al lavoro è stato accantonato, che si è ritenuto prioritario il profitto di impresa, che è diventato “normale” e di “successo” arricchirsi con la speculazione immobiliare, con la circolazione e il riciclaggio di capitali attraverso le banche o il gioco in borsa. è la vittoria del “dio mercato”, di una “macchina” che autoproduce denaro virtuale in un delirio speculativo che porta immense ricchezze a pochi e povertà diffuse alla maggioranza dei cittadini. Oggi ci troviamo a fare i conti con una crisi che pare irreversibile, con un declino che sembra destinato a portare nel nostro paese, come nel resto del mondo capitalista, l’impoverimento della produzione industriale. Non possiamo più accettare questo stato di cose. Anche per questo dobbiamo avere il coraggio di riaffermare concetti e principi che a qualcuno possono sembrare obsoleti e “vecchi”.
Il lavoro è alle radici della nostra politica. I lavoratori sono la nostra classe di riferimento. I loro interessi e il loro benessere devono essere gli obiettivi prioritari del nostro agire. è un ritorno al passato? Può darsi, ma non è per questo che dobbiamo avere timori o tentennamenti. Quanto è stato costruito nel ‘900 dal movimento operaio e dai partiti che ad esso si riferivano (e che erano da esso riconosciuti come interlocutori privilegiati) deve essere ripreso, analizzato e studiato non tanto per riproporlo con le stesse modalità, ma certamente con lo stesso fine: chi vive del proprio lavoro può e deve governare il Paese.
Non si può pensare di fondare una politica di progresso sulla finanza e sul mercato. Il progresso è una conseguenza della ricchezza diffusa. Una ricchezza data da un lavoro sicuro e continuativo, dalla proprietà e dal controllo sociale dei mezzi di produzione, dalla diffusione dei diritti. Diritto alla casa, alla salute, al sapere. Diritto al futuro. Diritti che si ottengono e si rafforzano a partire dal primo diritto costituzionale: quel lavoro che è la nostra ricchezza. La priorità, quindi, non può che essere la completa realizzazione del diritto al lavoro. Gli interlocutori prioritari non devono più essere gli imprenditori o “l’impresa”, ma i lavoratori con le loro richieste, le loro necessità, le loro speranze e le loro aspettative. A questi la collettività, lo Stato, deve garantire diritti e futuro. è un cambiamento profondo, radicale, dell’odierna mentalità e della cultura oggi vincenti. Dobbiamo essere sufficientemente “folli” da richiederlo.
Il problema dei bassi salari, quello della sicurezza e della precarietà del lavoro, sono elementi dell’emergenza occupazionale, della crisi e del declino industriale che non possono essere semplicemente “registrati” ma devono essere affrontati e risolti con la necessaria determinazione.
Della crisi attuale vanno individuati innanzitutto i responsabili che devono essere colpiti con il giusto rigore. Chiediamo la fine del segreto bancario, il rifiuto di qualsiasi tipo di condono fiscale, una lotta severa contro i paradisi fiscali. Siamo convinti che dalla crisi si possa uscire solo con lo sviluppo e l’applicazione di politiche democratiche che permettano di dare più lavoro e più sicurezza lavorativa ai cittadini. In questa direzione non vanno certo le leggi vigenti che deregolamentano il mercato lavoro e che, anzi, perseguono l’obiettivo di dividere il fronte dei lavoratori e di rendere il lavoro sempre meno sicuro e peggio retribuito. Bisogna tenere sempre ben presente che un lavoratore precario, sottopagato e senza sicurezza che non vede, per sé e la propria famiglia, un futuro plausibile è, di fatto, umiliato e poco motivato. Non si possono considerare (oggi né mai) i lavoratori solo come numeri che permettono profitti ai singoli imprenditori né come costi che possono e devono essere abbattuti. I lavoratori non sono esuberi, ingranaggi o merci che possono essere messi da parte o pagati meno, sono i principali protagonisti dell’economia e dello sviluppo di una nazione. Perseguire nella folle logica di crescente sperequazione tra i diritti di chi vive (o è vissuto) del proprio lavoro e i privilegi di chi si arricchisce accumulando ricchezze finanziarie, porterebbe fatalmente a soluzioni antidemocratiche che esaspererebbero le disuguaglianze tra i cittadini e porterebbero il paese verso il declino sociale ed economico.
Anche una migliore competitività non può, quindi, procedere dall’insicurezza e dalla ricerca spasmodica dell’abbattimento dei costi, ma deve essere il risultato di investimenti per l’innovazione, la ricerca, lo sviluppo di nuove tecnologie e una sempre maggiore qualità del lavoro.
La ricchezza generata dal “produrre” (inteso anche come costante ricerca e innovazione di prodotto e di processo) deve costare meno di quella creata dallo “speculare”, dai giochi finanziari, dallo sfruttamento del lavoro altrui. Dovremo proporre con fermezza un adeguato aumento della tassazione della rendita finanziaria, speculativa e parassitaria. Di contro si potrà ridurre la pressione fiscale sul lavoro a tempo indeterminato (che deve ridiventare la forma normale di lavoro) e principalmente sui lavoratori. Questo significa anche che la cancellazione di posti di lavoro deve costare. La restituzione dei finanziamenti pubblici, statali o altro, erogati sotto qualsiasi forma ai privati deve essere una regola automatica che viene applicata a qualsiasi impresa che espelle lavoratori per convogliare risorse e finanza verso attività speculative (finanziarie, immobiliari o altro) o che esporta lo sfruttamento con la delocalizzazione.
Lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo deve diventare un tabù. Oggi, rispetto a qualche decennio fa, esso viene accettato come norma e, anzi, assume forme vecchie ed odiose quali il precariato sempre più diffuso, la discriminazione e la cancellazione di qualsiasi regola e diritto, contratti di lavoro individuali e umilianti, caporalato. Non solo, l’attacco ai diritti sindacali e, in primo luogo, al diritto di sciopero, limitando le libertà individuali e collettive di chi vive del proprio lavoro, colpisce la possibilità di difesa e di lotta dei lavoratori. Quella nella quale viviamo oggi e quella che ci viene prospettata è una società profondamente ingiusta che deve essere cambiata dalle fondamenta.
La crisi occupazionale e produttiva che si sta diffondendo anche il nostro territorio colpisce, innanzitutto, le fasce più deboli della popolazione: i lavoratori dipendenti salariati, i precari, le donne, i pensionati, i giovani, le persone diversamente abili, i migranti. Questi ultimi sono, sicuramente, i meno garantiti. “Licenziare gli stranieri” ha, infatti, un costo sociale meno elevato di qualsiasi altra operazione. La prospettiva di un aumento della discriminazione nei confronti dei cittadini migranti non può essere tollerata e può portare a conflitti ingovernabili. I migranti devono essere considerati e dichiarati cittadini a tutti gli effetti. è necessario, a tal fine, costruire politiche attive per rimuovere qualsiasi discriminazione presente e futura tanto nel mondo del lavoro quanto in quello sociale.
Profonde crisi hanno colpito negli ultimi anni e colpiscono oggi non solo aziende “simbolo” dell’economia e dell’industria vicentina come la Marzotto, la Lanerossi, le Manifatture di Fara, la Lima, la Beltrame, la FIAMM, la SADI, la SILTAL, la SMIT, la RAUMER e tante altre, anche medie e piccole (in molti casi piccolissime e quindi meno “garantite”) aziende di ogni settore produttivo, in ogni parte del territorio provinciale. Quella che stiamo vivendo da anni a Vicenza non è, quindi, una crisi solo congiunturale dovuta a problemi legati a produzioni specifiche e in zone limitate o a questioni puramente finanziarie, ma si configura come una crisi strutturale di un sistema capitalistico che fatica a reggere.
Alcuni dati sono emblematici e dovrebbero essere diffusi nella loro scarna drammaticità. Da gennaio a giugno 2009, in provincia di Vicenza sono 1.447 i lavoratori coinvolti in aperture di crisi (99 ditte); 4.865 quelli coinvolti in procedure concluse di crisi aziendali (122 ditte). Ci sono state 4.049.696 ore di cassa integrazione ordinaria (corrispondenti a oltre 4.000 posti di lavoro), 1.245.852 ore di cassa integrazione straordinaria (corrispondenti a oltre 1.200 posti di lavoro). Sono 5.043 i lavoratori in cassa integrazione in deroga, 7.681 i lavoratori “in sospensione” (e, quindi, senza lavoro) perché addetti di imprese che non possono accedere alla cassa integrazione. La mobilità ha colpito 835 lavoratori di imprese oltre i 15 dipendenti e 2.384 lavoratori delle piccole imprese.
Praticamente nella prima metà del 2009 sono stati persi circa 20.000 posti di lavoro.
Inoltre, solo nei primi 5 mesi del 2009, la commissione provinciale per l'impiego ha approvato la richiesta di procedura di cassa integrazione e mobilità di oltre 400 aziende (circa 11.000 lavoratori interessati), 14 sono state le aziende chiuse (circa 700 i lavoratori interessati), oltre 30 i fallimenti.
Indispensabile è la conoscenza reale dei fenomeni legati al mondo del lavoro, l’analisi combinata e, forse, “poco ortodossa” delle informazioni a disposizione. Correlare i “numeri” della sofferenza occupazionale (tasso di disoccupazione, lavoratori messi in mobilità, ore di cassa integrazione ecc.) ad altri dati quali quelli relativi al potere d’acquisto dei salari, alla facilità di accesso ai servizi, al peggioramento delle condizioni di lavoro, può fornire un quadro più completo della situazione effettiva.
Riteniamo che sia necessario conoscere quanti e quali siano i lavoratori atipici e precari nella nostra provincia; quali e quante siano le aziende che hanno chiuso definitivamente l’attività; quali e quante risorse si investono nella formazione, nella ricerca, nell’innovazione di prodotto e di processo; quante e quali siano le crisi aziendali dovute a sofferenza finanziaria; quali e quante sono le aziende che hanno delocalizzato la propria produzione, e quanto questo fenomeno abbia portato un depauperamento del territorio e dell’economia vicentina. Sul tema della delocalizzazione dovrebbe essere iniziata una seria riflessione sulle cause e sugli effetti della stessa che spesso procede dalla ricerca dell’abbattimento dei costi e della diminuzione delle garanzie per i lavoratori e ha come risultato l’esportazione non tanto del lavoro ma dello sfruttamento della manodopera. Una maggiore conoscenza della situazione è la base per cercare e trovare soluzioni, per individuare i settori produttivi da sviluppare e sostenere, per quantificare le risorse che devono essere spese per lo sviluppo della ricerca e dell’innovazione. Per questo proponiamo a tutte le organizzazioni politiche e sociali democratiche di rendere disponibili le informazioni e costituire un centro che permetta un’analisi seria e l’interpretazione più corretta della realtà che viviamo.
Chiediamo:
Noi crediamo che la priorità di uno Stato democratico debba essere il lavoro. Non l’impresa, né il mercato, né il profitto, né la finanza, ma il diritto inalienabile a un lavoro sicuro e a tempo indeterminato, a uno sviluppo industriale compatibile con l’ambiente e con l’obiettivo di un benessere distribuito a tutti i cittadini. Il lavoro deve tornare ad essere considerato una ricchezza e non un costo, così come la speculazione finanziaria e immobiliare deve essere considerata il privilegio di qualcuno di arricchirsi sfruttando la povertà altrui. Una parola d’ordine semplice e chiara può e deve essere “cancellare i privilegi di qualcuno per garantire i diritti a tutti”. La nostra proposta è di ripartire dai diritti (e il primo diritto costituzionale è il lavoro) convinti che solo in questa maniera e con la necessaria chiarezza potremo contribuire a cancellare i privilegi e la speculazione.
Noi chiediamo un confronto tra tutte le forze sociali e politiche coinvolte, lavoratori, partiti, forze sociali, associazioni di categoria. Il nostro obiettivo è quello di progettare e costruire le condizioni di un reale rilancio industriale e produttivo del territorio. Noi siamo certi che per attuare queste proposte, che dovranno essere arricchite e approfondite dal contributo di tutte le forze progressiste e democratiche, il ruolo delle istituzioni pubbliche sia prioritario, fondamentale e necessario. Troppo spesso si è lasciata la politica economica e industriale del nostro Paese nelle mani (e negli interessi) solo degli imprenditori, permettendo e, anzi, favorendo qualsiasi privatizzazione. Il risultato è sotto gli occhi di tutti ed è fortemente negativo. La situazione che si è creata è di una grande ingiustizia sociale che porta a una sempre crescente differenza tra ricchi e poveri. Il forte aumento di persone e famiglie che si trovano sulla soglia della miseria (e, in molti casi, addirittura nell’indigenza) impone alle forze democratiche di riconsiderare le scelte fatte e di agire per invertire questa tendenza, dando il giusto peso all’intervento pubblico nell’economia del nostro paese.
La difesa della Costituzione del 1948 e l’applicazione dei principi in essa contenuti devono essere motore di tutta l’azione politica democratica. Non ci possono essere tentennamenti né compromessi. Il richiamo all’attualità e alla validità della Costituzione nella sua totalità e, in particolare, nel contenuto degli articoli 1, 3, 41 è un fattore che riteniamo essenziale per tutte le forze democratiche e progressiste. Un costante riferimento che non deve e non può essere di pura propaganda né limitarsi a un nostalgico e rituale ricordo. Esso deve trovare concretezza nell’azione e nel progetto di un programma di reale alternativa allo stato di cose presenti.
Noi crediamo che la politica non possa limitarsi a gestire le situazioni di crisi, ma debba prevenirle fissando regole certe e, soprattutto, facendole rispettare senza deroghe. Il primato della politica sull’economia, così come quello dello stato sul mercato, devono diventare caratteristiche di un programma di governo realmente progressista.
Altrettanto importante è la questione morale. Il rifiuto di qualsiasi compromesso che favorisca (anche non contrastando con la giusta severità ed efficacia) le speculazioni e l’occupazione dello Stato e delle Istituzioni da parte di “comitati elettorali” collegati a centri di potere più o meno occulti, l’onestà nel condurre la battaglia politica, la chiarezza degli obiettivi del programma, la trasparenza nei comportamenti per raggiungerli e il controllo dei costi della politica sono elementi che devono caratterizzare la nostra azione. In questo quadro si inserisce la proposta di una azione, anche di governo, che permetta di monitorare e controllare le fonti di finanziamento al fine di impedire il riciclaggio di denaro frutto di operazioni illegali o di speculazioni eticamente condannabili.
Vicenza, 15 luglio 2009
Commissione lavoro
del coordinamento provinciale PdCI – PRC di Vicenza
Via A. Mario, 12 Vicenza