di Giulio Todescan il 21 dicembre 2012, in www.nuovavicenza.it
Via Legione Gallieno, 8 e 30
del mattino: una piccola fila si snoda, strofinandosi le mani per il freddo, fuori dal cancello del Centro provinciale per l’impiego. Un posto sempre affollato, dove le storie di
chi ha appena perso il lavoro si incrociano con quelle di chi si è perso per strada fra mobilità e pensione (“esodati”) e di chi un posto ha appena cominciato a cercarlo. Chi arriva stacca
un biglietto dalla macchinetta, si siede e aspetta che esca il proprio numero.
«Dormo in macchina dal maggio del 2011» racconta Antonio (nome di fantasia), ex guardia giurata di 59 anni, dal 2010 andato in mobilità insieme a sei colleghi. «Sono un
esodato, contavo di andare in pensione nel 2013 grazie ai contributi versati dopo 30 anni di lavoro e il periodo di mobilità. Per colpa della riforma Fornero non so che fine farò, per
adesso ritiro l’assegno di mobilità, 770 euro al mese. Con l’affitto non ce la facevo, così un anno e mezzo fa ho lasciato casa e vivo in auto. Come passo le giornate? Niente, cammino in
giro, a pranzo e cena mi faccio ospitare dalle mie sorelle, ma non siamo in rapporti molto buoni. Si va in giro camminando, non si trova niente da fare». Lo ripete in dialetto: «No te
cati niente...».
Due uomini di mezza età discutono animatamente aspettando il loro turno. Guidano i camion per una ditta di San Giorgio in Bosco e Babbo Natale gli ha portato un regalo
indigesto, un licenziamento arrivato il 13 dicembre come un fulmine a ciel sereno. Alternano lucida rabbia e sarcasmo per stemperare i toni. «Due licenziati su sei dipendenti – spiega uno –
Il padrone ha subappaltato il lavoro a due nuove società di proprietà del figlio, così la vecchia ditta passa sotto i nove camion, e da industriale diventa artigiana: avrà diritto ad
agevolazioni e sgravi fiscali, pagherà meno tasse. Chi lavora in subappalto invece sarà pagato meno». Aggiunge l’altro, alto e massiccio: «Licenziano noi che siamo “vecchi” e assumono gente
in mobilità, pagandoli meno e facendogli contratti ridicoli, di 12 mesi e poi a casa. Dobbiamo ringraziare il ministro Fornero e la sua fantastica riforma del lavoro che permette alle
aziende di intascarsi migliaia di euro assumendo a tempo gente disperata in mobilità. E le aziende hanno mille scappatoie per approfittare della crisi scaricandone il costo sui lavoratori.
Ma se non li paghi, i lavoratori, puoi avere magazzini bellissimi ma nessuno comprerà niente, e la crisi peggiorerà».
I due camionisti scherzano amaro con una giovane donna, anche lei fresca di licenziamento da un laboratorio di geologia. Qualche sedia in là una ragazza di 29 anni racconta
perché si trova qui: «Nessuna storia tragica. Sono architetto, laureata da due anni, e oggi mi iscrivo alla lista di collocamento. Dopo la laurea ho lavorato a singhiozzo, sempre con
ritenuta d’acconto, collaborazioni occasionali presso studi di architettura». Il precariato nelle professioni intellettuali ormai è la regola: «Un contratto non l’ho mai visto – spiega lei
– A tanti come me viene chiesto di aprire una partita Iva per poter lavorare, ma non ci penso proprio: troppe spese, ci vorrebbero delle entrate fisse che nessuno ti assicura».
Enrico è un operaio di 35 anni, da un anno è in mobilità, testimonia come la crisi colpisca duro anche la meccanica, settore trainante dell’industria vicentina. «Lavoravo
da cinque anni in una grossa ditta di scaffalature, contratto a tempo indeterminato. Poi la crisi, hanno dimezzato il personale, ora tiro avanti con contratti di un mese rimediati dalle
agenzie interinali. Verniciature e altri lavori da operaio, ma più pesanti di quello che facevo prima».
In fila c’è anche Giuseppe, che di anni ne ha solo 17 e frequenta l’alberghiero Da Schio, ma già pensa al futuro: «Oggi c’era assemblea di classe, ho preferito venire qui a
iscrivermi alle liste di collocamento. Finirò la scuola, ma intanto cerco anche un lavoro. Ho mandato il curriculum ovunque, nessuna risposta. Dopo la scuola forse andrò all’estero: c’è
molta richiesta di cuochi… nel frattempo dovrò imparare l’inglese».