Da IL GIORNALE DI
VICENZA Venerdì 11 Dicembre 2009 CRONACA Pagina 20
«Un pezzo di terra, ce ne andiamo subito»
«Nessuno di noi vuole un alloggio - dice Donna - i vicini ci renderebbero la vita difficile. Meglio puntare sulla
periferia: terreni ampi dove poter parcheggiare le nostre case»
«Certo, se potessi me ne andrei anche domani. Chi vivrebbe in queste condizioni? Lo vede il campo, non ci sono servizi igienici. Anzi, le tubature scorrono
all’esterno... I bambini giocano in mezzo a tutto questo e poi corrono in strada. Qui, di gente a farci promesse ne è passata molta. Soprattutto il Comune. Fino a qualche settimana fa sembrava
fosse tutto deciso. Io non voglio un appartamento, mi basta un pezzo di terra dove sistemare la roulotte e dove i miei figli possano venire a trovarmi. Per il resto un lavoro va bene...».
Rossella Caldaras ha 51 anni, esce dalla roulotte dove vive con il marito. Sui vetri compaiono le prime insegne di Natale: Happy Christamas. «Ma non sarà certo un giorno felice, come tutti gli
altri anni. Staremo qui, dove regna la fatiscenza...».
Già, nell’accampamento di viale Cricoli tutto si può dire, ma non che le famiglie vivano in un ambiente sano. Descrivere le miserie serve a poco e, soprattutto, non porta in alcuna direzione. In
particolare ora, quando l’argomento nomadi sta scaldando non solo gli animi in consiglio comunale, ma anche le coscienze di chi si vorrebb e rimboccare le maniche. Di chi vorrebbe fare qualcosa.
Ma evidentemente si trova un muro davanti. Uno steccato.
Come quello che divide in due il campo di viale Cricoli, un pezzo di terra malato, lacerato. Dalle etnie, dalle culture, dalle provenienze. Trent’anni di vita comune e secoli di storie lontane in
cui ognuno cerca la propria verità. Se i Sinti dimostrano almeno un certo orgoglio - hanno le roulotte con le porte - dall’altra parte ci sono materassi gettati in quello che resta di vecchi
contenitori da viaggio, case mobili senza porte, con una tenda a far da riparo e ancora rifiuti, immondizie. Latrine che ! sporcano tutto quello che ti sta attorno. Anche camminare dà fastidio, e
il cancello all’ingresso del campo la dice lunga sui rapporti tra le due comunità.
«Con quelli, i Rom - dice Donna, 25 anni - non abbiamo nulla da spartire. Io non voglio una casa. Mi bastano la roulotte, mio figlio e un lavoro per mio marito. Ce l’avevano promesso, ne avevamo
discusso e questa poteva essere una soluzione accettabile. Non in una casa - continua Donna - non me la sentirei di vivere. Mi sentirei soffocare, morire. E poi in che costesto, con la gente che
farebbe di tutto per farti andare via perché pensa solo che tu sia un delinquente. In mezzo al campo c’è una giostrina per bambini, stiamo aspettando che il Comune ci dia il permesso di portarla
in città e quindi lavorare. È trascorso un anno, la giostra è ancora lì. E ora perde i pezzi...».
Sono le 9.30 in viale Cricoli, molte roulotte sono chiuse, molti bambini stanno ancora dormendo. Ci sono tendine che si spostano e nessuno che viene ad aprire. La diffidenza, il sospetto, lo
scetticismo la dicono lunga. Basta guardare negli occhi chi decide di parlare, di raccontare qualcosa. Di lanciare un messaggio. Ma forse è tardi anche per quelli.
«Sono anni che litigano per noi - continua Rossella Caldaras - prima i residenti della zona che volevano ce ne andass imo. Poi il Comune che non riesce a trovare un accordo. E ancora i
rappresentanti dei Sinti che ci dicono di tenere duro, che le parole servono e un giorno qualcuno le ascolterà. Ma quando?».
Il campo lentamente si sveglia, i minori escono un po’ alla volta, ti guardano con aria di sfida e poi rientrano. Occhi scuri, mani sporche, sguardi da adulti. Per loro la vita inizia più tardi.
Ma non sappiamo dove e, soprattutto, come. E, forse, erano i primi su cui si doveva lavorare. L’integrazione passa per le giovani generazioni. Ma dare lezioni è inutile. In via Cricoli servono
solamente fatti.