Sono il Circolo PRC-FdS di Torri di Quartesolo (VI). Sono nato il 25 settembre 2011, da un gruppo di compagni indignati, che si prefigono di cambiare lo stato delle cose atuali. Il mio scopo è di farmi portavoce delle vertenze dei movimenti cittadini che riguardano il territorio nord-est vicentino, (Quinto Vicentino, Monticello ConteOtto, Longare, Grumolo delle Abadesse, Caldogno, Bolzano Vicentino, Camisano Vicentino). Affronto tematiche in campo ambientale e sociale e faccio mie le lotte per
Documento approvato dal Comitato politico nazionale del 9 e 10 marzo 2013
Il CPN del PRC esprime il proprio ringraziamento a tutti i compagni e le compagne che si sono impegnati con generosità e passione anche in questa difficilissima campagna elettorale, dimostrando che Rifondazione Comunista rimane una risorsa imprescindibile per la sinistra e la democrazia in Italia, un patrimonio umano e politico il cui valore nessuna soglia di sbarramento antidemocratica può cancellare.
Va riconosciuto il fallimento del tentativo di Rivoluzione Civile che non è riuscita a diventare il punto di riferimento per la domanda di cambiamento e la protesta di milioni di elettori. Hanno contribuito alla sconfitta elettorale sicuramente limiti soggettivi nostri e dei nostri interlocutori e alleati. In particolare il ritardo e la conseguente rapidità nel configurare lo stesso progetto ne hanno impedito una costruzione democratica e partecipata. Non va sottovalutato che la collocazione in alternativa al PD per il PRC era una scelta maturata da tempo e unanimemente condivisa all’interno, mentre per gli altri soggetti politici della lista si è trattato di uno sbocco obbligato a causa della chiusura del PD nei loro confronti. La stessa esperienza della Federazione della sinistra si era arenata sul nodo dell’alleanza con il PD. Anche un processo partecipato come quello apertosi con l’appello “Cambiare si può” è giunto troppo tardi per poter determinare un percorso condiviso di costruzione unitaria dal basso. Rivoluzione Civile, che pure avrebbe dovuto coniugare questione morale e questioni sociali ed economiche, non è riuscita a definire e a presentarsi con un profilo e un’identità forti dentro la campagna elettorale in cui sia la crisi economica che il rifiuto di una politica corrotta sono stati temi centrali.
L’esito elettorale, da cui esce vincente il movimento di Beppe Grillo, ha determinato un terremoto politico che fotografa una fortissima crisi di legittimazione dell’intero sistema dei partiti come articolatosi durante il ventennio del bipolarismo.
Il segno politico del voto è quello del rifiuto delle politiche di austerità e di bocciatura dei partiti che hanno sostenuto il governo Monti, la cui ombra ha ipotecato e pregiudicato anche la possibilità di affermazione di un centrosinistra che si è candidato a proseguire con più equità quell’impianto rigorista dettato dalla BCE. La stessa parziale tenuta di Berlusconi può essere spiegata con la paura da parte di ampi settori sociali storicamente rappresentati dal centrodestra, in particolare piccole imprese e lavoro autonomo, di diventare il bersaglio di un nuovo governo rigorista.
Il risultato di fondo che ci consegna il voto è lo scardinamento del bipolarismo che non possiamo che salutare positivamente ma senza nasconderci possibili involuzioni del quadro. Se la sconfitta dell’ipotesi di un governo Bersani-Monti costituisce un dato positivo, non possiamo escludere il profilarsi di una risposta conservatrice al terremoto in termini di blindatura ulteriore del sistema politico attraverso l’introduzione del doppio turno e del presidenzialismo. La stessa mancata vittoria del PD potrebbe produrre un ulteriore spostamento a destra dell’asse programmatico, mascherato da ringiovanimento della classe dirigente. Dentro questo quadro va rilanciata la nostra battaglia per il proporzionale e l’urgenza di risposte a un’emergenza sociale senza precedenti.
L’incalzare e l’approfondirsi della crisi e il malcontento suscitato dalle misure assunte per contrastarla, tanto inique quanto inefficaci, hanno determinato nel contesto italiano un rivolta dell’elettorato che si è espressa però non sul terreno della lotta di classe ma su quello della contrapposizione dei cittadini contro la casta.
A determinare questa dilagante percezione di massa non è stata soltanto la indubbia capacità comunicativa e “diversiva” di Grillo, ma le caratteristiche specifiche della situazione italiana a partire da una corruzione sistemica, una questione morale che i partiti non hanno voluto affrontare in termini di autoriforma, un clima di delegittimazione del Parlamento e della politica alimentato dagli stessi media dei “poteri forti”, la pervasività del lungo discorso antipolitico berlusconiano, il disarmo culturale agito dalla stessa sinistra di governo.
Ha pesato fortemente l’anomalia italiana di un mancato sviluppo del conflitto sociale di fronte al dispiegarsi di uno stillicidio di provvedimenti antipopolari.
Non può essere taciuta la responsabilità in tal senso di sindacati come Cisl e Uil che hanno coperto persino la strategia di Marchionne, ma anche la linea del gruppo dirigente della Cgil (con significative eccezioni a partire dalla Fiom) condizionata dal suo rapporto con un PD che sosteneva il governo Monti. La mancanza di ondate di movimenti di lotta paragonabili a quelle degli altri Paesi europei impone anche a noi e al resto della sinistra antiliberista una riflessione. Al tempo stesso impone la ripresa di una iniziativa del partito in sinergia con i movimenti a partire dalle prossime scadenze delle manifestazioni No Tav e No Muos.
Non va mai dimenticato che la nostra sconfitta è l’ultimo capitolo di una sconfitta più grande e storica che è quella del movimento operaio e di processi di atomizzazione sociale di lungo periodo che abbiamo da tempo analizzato e vissuto sulla nostra pelle, ma rispetto ai quali non siamo riusciti a determinare un’inversione di tendenza. Le nostre responsabilità soggettive si iscrivono dentro questo quadro.
Negli ultimi cinque anni abbiamo difeso con dignità e orgoglio Rifondazione Comunista. Il progetto intorno al quale ci siamo impegnati contemplava il rilancio del partito e la costruzione dell’unità della sinistra d’alternativa. Non possiamo non constatare che nessuno di questi obiettivi è stato conseguito. Il quadro di difficoltà dentro il quale abbiamo sviluppato la nostra iniziativa politica non ci esime certo da una riflessione senza reticenze sui nostri limiti, errori, insufficienze.
Si rende indispensabile aprire una fase di riflessione e confronto per ridefinire il ruolo di Rifondazione Comunista, con la consapevolezza che siamo di fronte alla chiusura del ciclo di Rifondazione per come l’abbiamo conosciuta e che sia ineludibile la necessità di rimetterci in discussione.
Ripensare il ruolo del Prc non implica rinunciare al progetto della Rifondazione Comunista ma cercare di individuare le strade per rilanciarlo sul piano dell’elaborazione teorica e programmatica, della pratica sociale, del radicamento, dell’organizzazione, della relazione con tutto ciò che si muove al di fuori di noi.
La sconfitta di Rifondazione e del complesso della sinistra radicale, che dentro la più grave crisi del capitalismo non sono riuscite in Italia a diventare punto di riferimento dell’ampio malcontento e del disagio sociale, costringe tutte le culture politiche e le esperienze organizzate a mettersi profondamente in discussione e ad attivare un processo di ricomposizione che non può essere riproposto in forme pattizie che non coinvolgono anzi accentuano l’ostilità e la diffidenza assai diffuse nei confronti dei partiti.
La profondità della sconfitta, nonostante la gestione unitaria del partito e una ampia condivisione della linea, impone un percorso di confronto ed elaborazione collettiva fondato sull’ascolto reciproco e sul coinvolgimento dell’intero corpo del partito a partire dal livello territoriale.
La riflessione che vogliamo collettiva non va ristretta entro le forme congressuali e della logica delle mozioni, ma sviluppata attraverso seminari tematici, assemblee territoriali, l’utilizzo di internet, coinvolgendo gli iscritti e con l’apertura al contributo di compagni della sinistra e dei movimenti. Sviluppare l’orizzontalità e partire dai contenuti sono due aspetti fondamentali per rendere fecondo e non rituale il percorso.
Lo stesso risultato del voto non smentisce l’asse della nostra battaglia politica di questi anni e neanche la collocazione difficile che abbiamo scelto nelle ultime elezioni. Milioni di elettori hanno scelto una proposta politica di rottura netta con il bipolarismo e che non si presentava come moderata. Al di fuori e contro il bipolarismo lo spazio si è allargato enormemente ma non è stata Rivoluzione Civile a occuparlo.
Rifondazione Comunista rimane e resta valida l’esigenza di costruire una sinistra antiliberista unita e autonoma dal centro-sinistra, alternativa rispetto a questo sistema politico.
Rifondazione Comunista da tempo è cosciente della sua non autosufficienza e quindi della vitale necessità della ricomposizione della sinistra di alternativa come in tutta Europa.
I successi recenti delle formazioni aderenti al Partito della Sinistra Europea ci dicono che è possibile uscire dalla marginalità senza rinunciare alla radicalità, alla coerenza sui contenuti e a una posizione di alternativa e di indipendenza rispetto a partiti di centrosinistra che hanno fatto proprie le politiche neoliberiste. Si tratta ora di compiere un salto di qualità dando impulso ad un percorso nuovo e unitario di rilancio e rinnovamento dell’intera sinistra di alternativa.
L’esperienza di questi anni e degli ultimi mesi ci induce a ritenere non riproponibili pratiche ‘pattizie’ e quindi a rilanciare la centralità della democrazia e del principio “una testa un voto” come metodo indispensabile per la costruzione di una nuova soggettività politica unitaria della sinistra e dei movimenti sociali antiliberisti, ambientalisti, contro la guerra.
L’apertura della discussione a tutti i livelli sull’esito elettorale, sulle prospettive del partito, sulla necessità di un suo rinnovamento (in primo luogo delle pratiche, delle modalità di intervento e dei gruppi dirigenti, anche sul piano generazionale) e sul futuro della sinistra non deve bloccare l’operatività del partito e l’iniziativa politica, a partire dalle prossime elezioni amministrative e da una forte partecipazione alle prossime scadenze di mobilitazione.
Al fine di coniugare il più ampio dibattito e il proseguimento dell’attività del partito il CPN individua i seguenti impegni:
Partecipazione alle manifestazioni No ponte il 16 marzo, il 16 marzo a Firenze manifestazione antimafia, la mobilitazione No Tav il 23 marzo e quella No Muos il 30 marzo.
Convocazione attivi di circolo e di federazione
Convocazione dell’assemblea nazionale dei segretari di circolo e di federazione
Convocazione periodica della riunione dei segretari regionali e di federazione
Convocazione della conferenza programmatica entro il mese di luglio
Convocazione del congresso straordinario nazionale entro novembre.
Elezione della commissione politica per la stesura del documento congressuale e avviamento del percorso di approfondimento e dibattito anche attraverso seminari tematici nazionali e territoriali.
La segreteria nazionale rimane in carica per garantire il proseguimento dell’iniziativa politica del partito e della gestione amministrativa fino al congresso.
Documento presentato dalla maggioranza della Commissione votata dal Cpn per il documento finale
La votazione del dispositivo finale è avvenuta per parti separate, gli ultimi tre punti sono stati approvati a maggioranza.
Altri documenti
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Partito della Rifondazione Comunista Comitato Politico Nazionale 09 - 10 marzo 2013 Documento respinto
La sconfitta di Rivoluzione civile e di Rifondazione comunista, che ne è stata parte fondante, ha dimensioni senza appello. Non basta quindi un sussulto d’orgoglio o uno sforzo volontaristico per mettersela alle spalle e tracciare una prospettiva credibile. È necessario rimettere in discussione l’intera strategia politica che ha guidato le scelte del gruppo dirigente in questi anni.
Il Cpn ringrazia i compagni e le compagne di Rifondazione Comunista per l’impegno mostrato e sottolinea come il risultato pesantemente negativo non può essere relazionato in alcun
modo allo sforzo profuso in campagna elettorale, notevole e generoso come sempre. L’analisi del voto
Il dato che ci consegnano le elezioni del 24-25 febbraio è quello di una vera e propria crisi di sistema che non viene raccolta dalle forze della sinistra alternativa come avviene nel
resto d’Europa. I governi europei, la Bce e il Fondo monetario, i mass media internazionali chiedono a gran voce un “governo stabile” che difficilmente otterranno.
Non c’è stato dunque un recupero della destra, per quanto Berlusconi sia riuscito a fermare il declino che fino a pochi mesi fa sembrava inarrestabile. Le elezioni del 24-25 febbraio
le ha perse il centrosinistra. Questo voto è il risultato di 15 mesi di governo tecnico, di “unità nazionale” che ha visto i principali partiti presenti in parlamento votare, compatti
e allineati, attacchi micidiali ai diritti e alle condizioni di lavoro della classe operaia, alla sanità, all’istruzione, allo stato sociale. È il frutto degli otto milioni di
indigenti, dei due milioni di bambini poveri, di un tasso di disoccupazione che è ormai al 12%, dei quattro milioni di precari che vivono con salari da 800 euro al mese (in
media).
Il fallimento di Rivoluzione Civile
Le responsabilità del gruppo dirigente di Rifondazione Comunista sono gravi. Quindici mesi fa, in coincidenza con le dimissioni di Berlusconi e l’insediamento di Monti, si era aperta
l’opportunità di liberarsi delle pastoie che legavano il partito al centrosinistra (la linea del fronte democratico) e di lavorare, sia pure con grave ritardo, alla costruzione di un
credibile punto di riferimento a sinistra, fuori e contro l’unità nazionale, che provasse a connettere politicamente il conflitto sociale che carsicamente continuava a manifestarsi
nel paese.
Il codismo, l’eterna illusione che mettendosi “in scia” di qualcun altro si possa trovare la scorciatoia per apparire più forti o autorevoli di ciò che effettivamente si è, si è
manifestato come vera e propria patologia del gruppo dirigente uscente. Ancora una volta si è dovuto apprendere che sul terreno elettorale i voti non si sommano e che mettendo assieme
più debolezze non si ottiene una forza ma una debolezza ancora più grande.
Il Prc deve fare un congresso vero. Non un dibattito improvvisato con qualche attivo in giro per l’Italia, ma un serio percorso di analisi, orientando i propri militanti in primo
luogo verso le fabbriche, verso i giovani, per ascoltare e annodare un filo di dialogo che è stato interrotto da un gruppo dirigente che ha completamente abbandonato l’idea di poter
radicare il partito nel conflitto di classe per dargli un riferimento e una espressione politica compiuta. Ciò che di questo partito rimane ancorato a una prospettiva di classe può e deve trovare posto nella battaglia per il rilancio di un movimento che si ponga all’altezza dei compiti che la nuova situazione richiede, perchè la crisi del capitalismo non sbocchi nella barbarie ma nel rovesciamento di un sistema che non è più in grado di soddisfare i bisogni più elementari della popolazione. Il Cpn considera chiusa l’esperienza di Rivoluzione Civile. È necessario lasciarci alle spalle una discussione stantia sui “contenitori” che si è mostrata fallimentare e potenzialmente liquidatoria del partito per affrontare il tema del rilancio della Rifondazione comunista attraverso un confronto sui “contenuti”. La discussione del congresso deve ripartire dalla definizione di un programma anticapitalista, che metta al centro il tema dell’estinzione del debito, delle nazionalizzazioni, del controllo pubblico dell’economia, al fine di impedire che le masse popolari vengano stritolate dalla crisi. Alessandro Giardiello, Sonia Previato. |
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Partito della Rifondazione Comunista Documento respinto Il voto ai tempi del Fiscal Compact
Il voto del 25 febbraio evidenzia una sconfitta pesantissima di Rivoluzione Civile e con essa della linea portata avanti dal gruppo dirigente del PRC. Se questo movimento reggerà o si sfalderà, non è dato saperlo oggi. Le sue sorti dipenderanno anche dal grado di mobilitazione sociale contro l’agenda dell’austerità e dall’affacciarsi o meno di un movimento antiliberista e anticapitalista degno di questo nome che occupi parte delle praterie oggi cavalcate solo da Grillo. Movimento 5 Stelle. La “resistenza” populista ai dogmi dello spread.
A differenza di Rivoluzione Civile, il M5S è un movimento che ha una sua base sociale (seppur interclassista) poiché incarna quelle aspirazioni di resistenza alla crisi e alla feroce
competizione del capitalismo che schiaccia quei settori che possiamo definire piccolo-borghesi. Grillo raccoglie sul piano populistico i sentimenti del piccolo imprenditore, del
proprietario di bottega o di un’azienda agricola, del lavoratore autonomo, del popolo delle partite IVA, e li fonde con quelli di ampi settori delle nuove generazioni e di lavoro
dipendente e precario che si sentono senza rappresentanza, esclusi e oppressi dal dominio della “finanza”. Questo movimento lega questi settori a una idea di uscita dall’euro e dalla
crisi di tipo autarchico e alle illusioni della regolamentazione del mercato capitalistico (“tartassato” da tasse e sindacati), dell’economia verde e del ritorno alle piccole
produzioni. Per una Rivoluzione Civile o per una prospettiva anticapitalista? L’operazione Rivoluzione Civile è stata un evidente fallimento. L’unica cosa che può essere salvaguardata è quel patrimonio minimo di ripresa di contatto coi settori sociali che ha caratterizzato una campagna elettorale fuori dai grandi mezzi di comunicazione di massa. Molte assemblee hanno visto una partecipazione che andava al di là della base dei partiti che componevano questa coalizione. Rivoluzione Civile è apparsa schiacciata sul nome del magistrato-leader e sul suo profilo legalitario, non ha saputo parlare dei temi della giustizia sociale e del lavoro, e dunque è stata percepita non utile. Chi si poneva l’obiettivo di contrastare i diktat della BCE ha percepito utile Grillo o si è astenuto, chi si illudeva di condizionarli ha votato la coalizione PD-SEL. Pochissimi hanno scelto Rivoluzione Civile e praticamente nessuno il PCL (l’unica falcemartello sulle schede). Il problema quindi non è stato di identità formale e di simboli, ma di profilo politico e di radicamento sociale.
Nonostante alcune candidature apprezzabili provenienti da alcune battaglie civili e sociali, non c’è stato nessun coinvolgimento dei movimenti reali del paese e non è emersa nemmeno
una piattaforma sociale con proposte dirompenti sul piano economico o che rompessero coi vincoli europei proponendo in questo profilo il senso del non apparentamento col PD e non
nella scelta di quest’ultimo di allearsi con Monti. Tutto è stato calato dall’alto e in questo ha influito anche l’eterogeneità dei gruppi dirigenti che componevano la “cabina di
regia” di RC.,insieme ad alcune candidature palesemente indecenti. Pensare di far percepire una proposta chiara all’elettorato con queste contraddizioni in campo è stato un azzardo. Il PRC avrebbe dovuto farsi garante in maniera pubblica e forte di un chiaro profilo anticapitalista e antiliberista proponendosi come interlocutore anche di quei movimenti critici con la proposta di Rivoluzione Civile. Invece le esclusioni di esponenti provenienti dai movimenti e vicini al PRC (come Nicoletta Dosio del NoTav e Vittorio Agnoletto proposto da un’assemblea di centinaia di persone) sono avvenute senza grossi scossoni, mentre si era impegnati a individuare col manuale Cencelli i rappresentanti delle diverse anime della maggioranza da proporre in lista. Questo ha provocato che nel campo comunista ci si è divisi tra chi per lealtà ha votato Rivoluzione Civile, chi l’ha fatto sperando che rimanesse un lumicino di visibilità pubblica per “chi si oppone” da sinistra ai diktat della BCE, chi invece non ha votato o ha preferito dare il voto altrove tanto per 'dare uno scossone'. Di fronte a tutto questo ed al fatto che De Magistris ha già dichiarato conclusa l’esperienza di Rivoluzione Civile, Di Pietro sta cercando una via d’uscita alla sua scomparsa e nel PdCI stanno riaffacciandosi le pulsioni a tornare nelle braccia del PD, la proposta di continuare l’esperienza di RC è quantomeno surreale. Voltare pagina, basta navigare a vista!
Dopo il terremoto elettorale del 24-25 febbraio, le dimissioni della segreteria nazionale rappresentano un atto dovuto, ma non possono bastare: occorre. voltare decisamente pagina in
termini di linea politica e gruppo dirigente, senza indugiare in atteggiamenti autoconsolatori e continuisti che tendano a giustificare comunque le scelte fatte. Riteniamo che Rivoluzione Civile, come del resto la Federazione della Sinistra, siano due esperienze chiuse e finite su cui riflettere con rigore per affrontare su basi diverse una questione centrale, tuttora irrisolta e quanto mai attuale, quella della costruzione di un ampio schieramento sociale e politico anticapitalista, per opporsi e resistere alla gestione capitalistica della crisi. Oggi questo terreno concreto di impegno rappresenta la priorità e l'unica possibilità per rilanciare la rifondazione comunista e ricostruire il partito, fuori da opportunismi, settarismi e scorciatoie elettorali.
Il PRC non deve sciogliersi in generici contenitori di sinistra, ma investire le proprie energie nei conflitti sociali per essere promotore e strumento di un processo nuovo di
ricomposizione di forze, oggi disperse, sulla base di una linea di massa per sviluppare l'opposizione di classe e delineare l'alternativa di sistema. Claudio Bettarello, Sandro Targetti e altri ************************************* |
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Partito della Rifondazione Comunista Commissione Politica per il Congresso Straordinario
Ferrero Paolo
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