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13 luglio 2011 3 13 /07 /luglio /2011 15:47

Tonino Bucci, www.liberazione.it


Rifondazione comunista si prepara al congresso, a quattro anni di distanza da quello di Chianciano. Un capitolo tra i più tormentati nella storia di questo partito. Dalla caduta dell'ultimo governo Prodi a oggi è successo di tutto, un autentico terremoto politico: il tracollo elettorale, un'emorragia di voti e iscritti, la fuoriuscita dal parlamento, l'ennesima scissione, la nascita di Sel, l'apertura di una nuova competizione a sinistra, l'aggravarsi della crisi economica globale. Poi, finalmente, il segnale di un cambiamento nella società italiana, la crisi organica del centrodestra - forse del berlusconismo - il risultato delle amministrative, il voto nel referendum, il protagonismo della Fiom, le mobilitazioni studentesche, i movimenti sull'acqua e il nucleare.
L'ultimo comitato politico nazionale di Rifondazione, chiuso domenica, ha discusso - e deciso - il percorso da qui al congresso, che si svolgerà con modalità «unitarie»: la proposta è quella di un unico documento a tesi, presumibilmente snello, con la possibilità di presentare tesi emendate o alternative. Si vedrà. Nella stessa direzione va l'impegno preso, nero su bianco, di superare l'organizzazione per correnti con una serie di misure concrete. Non si tratta di ostracizzare l'esistenza di "aree" o culture politiche all'interno del partito - sarebbe una lotta contro i mulini a vento - ma di evitare che le correnti diventino il trampolino per le cariche elettive o il luogo informale in cui prendere le decisioni, svuotando di fatto gli organismi decisionali del partito. «Sono favorevole ad aree organizzate - dice per esempio Ramon Mantovani - che promuovano seminari e momenti di approfondimento teorico e politico. Altra cosa, però, è organizzare incontri autonomi con altre forze politiche prima che si siano prese decisioni negli organismi dirigenti del partito». Scontata sul piano dei principi, la lotta al "correntismo" non lo è però nei modi in cui è messa in atto. «L'unità è un fine, non un presupposto - sostiene Alberto Burgio - e in quanto tale va costruita. Le correnti non preesistono alle differenze, ma conseguono da vizi di gestione del partito e dal modo di regolare i dissensi».
Se la lotta alle correnti non è un bluff o un grimaldello di «lotta interna», l'auspicio potrebbe essere buono per imparare a discutere laicamente. Non a caso, da quello che si è sentito al comitato politico questo è un partito che lamenta una carenza di analisi. Questo è il secondo leit motiv, ripreso tra l'altro dal segretario Paolo Ferrero nelle conclusioni: «Interlocuzione con gli intellettuali», «incontri con economisti», «capacità di avanzare proposte politiche in grado di reggere una discussione pubblica nel paese». Un partito che non proceda per slogan e che non usi le idee solo per contarsi al proprio interno? E allora serve robustezza d'analisi. I pilastri su cui costruire la propria lettura del mondo sono due. Primo, mettere a fuoco le condizioni strutturali che rendono instabile la fase. «Gli eventi cui assistiamo nel Mediterraneo e in Europa - dice Burgio - si svolgono all'interno di una dialettica: tra spinte dal basso e insorgenze sociali, da un lato, e tentativi di riassorbire le onde d'urto, dall'altro. Il progetto di restaurare un ordine capitalistico dall'alto si scontra con un sottosuolo ribollente che non può essere neutralizzato una volta per tutte. Né bisogna sottovalutare il rischio di speculazioni finanziarie che potrebbero generare instabilità. Noi siamo in mezzo a questo gioco di correnti di azione e reazione». Secondo, una proposta politica, oggi, non è valida se non tiene conto della dimensione europea. La crisi sta disegnando nella mappa dell'Ue nuovi rapporti di squilibrio e di dominio tra aree centrali e aree periferiche del capitalismo: da un lato la Germania, dall'altro la Grecia (e, chissà, anche l'Italia). Ma di questo se ne parlerà in un seminario con gli economisti dopo l'estate. «Sulle proposte economiche non possiamo improvvisare», dice Ferrero.
Terzo quesito: il governo. A tutti i livelli, da quello nazionale alle giunte e alle amministrazioni comunali. Il tema non è mai stato facile, ma ora sta diventando cruciale perché è la "realtà" che lo impone. A nessuno sfugge che nella società italiana c'è una domanda di cambiamento affidata al voto politico contro Berlusconi e all'aspettativa di un governo alternativo al centrosinistra; ma dall'altro, non si può eludere la consapevolezza che i margini di manovra di un ipotetico, futuro governo di centrosinistra sarebbero molto più ristretti di quanto richiederebbe una politica di alternativa. E quindi? «Dobbiamo stare in sintonia con la domanda di massa e con la richiesta di mandare via Berlusconi - dice Ferrero - ma al tempo stesso radicalizzarla. E' in un rapporto con le masse, in una dimensione pubblica, che bisogna verificare se ci sono o no le condizioni per partecipare a un governo, non nel ristretto di un comitato centrale». Da qui la proposta delle primarie sul programma, che però non convince tutti. Il timore - spiegano Pegolo e Zuccherini - è che dal momento in cui si partecipa alle primarie ci si vincola a riconoscerne l'esito, quale che sia. Di parere opposto Rosa Rinaldi: «aprirebbero una sfida perché spostano l'attenzione dal leader ai temi. Dal punto di vista dei movimenti sarebbero un'occasione per trasformare i propri argomenti in vincoli di governo». «Non penso che si faranno - precisa Ferrero nelle conclusioni - ma non mi dispiacerebbe affatto se il popolo della sinistra discutesse di guerra e di legge 30. Partecipare a primarie sul programma non significherebbe fare automaticamente un accordo di governo. Se per ipotesi le nostre proposte - tipo la nazionalizzazione delle banche - venissero sconfitte allora faremmo soltanto un'alleanza democratica. Governa chi vince. L'importante è aprire un varco per far partecipare i movimenti e la Fiom alla discussione sul programma». A proposito della Fiom, Ferrero ribadisce il giudizio nettamente negativo sull'accordo in forza del quale la Cgil abbandona proprie opzioni strategiche, come il voto dei lavoratori, fonte legittimante degli accordi sindacali, come la non derogabilità del contratto nazionale, come l'intangibilità del diritto di sciopero.
Ma la questione del governo riguarda anche il livello delle giunte regionali, nelle quali si ripropone il problema di come tenere assieme la "governabilità" e il rapporto con i movimenti. Una contraddizione che non può essere eliminata del tutto, come dimostra la querelle interna alla segreteria del Prc tra Eleonora Forense e Maria Campese. Il "casus belli", nella fattispecie, è stato un articolo apparso su Liberazione in polemica con le politiche sull'acqua della giunta Vendola - di cui Rifondazione fa parte - che ha provocato la reazione di Maria Campese, assessore allo sport della Regione Puglia. Secondo Elenora Forense «non bisogna esitare a schierarsi contro la legge regionale pugliese dell'acqua se questa rende irriconoscibile la nostra collocazione strategica all'interno dei movimenti e del popolo dell'acqua». Sul fronte opposto, Maria Campese difende la legge pugliese, «l'unica ad aver reso pubblico l'acquedotto». «Non capisco perché si debba criticare la Puglia come fosse la regione più arretrata, quando altre regioni rosse d'Italia non hanno minimamente messo in discussione le spa. Il tono di soddisfazione con cui si accompagnano queste critiche è un segno di minoritarismo. Cosa dovremmo fare, uscire dalla giunta e diventare come Sinistra critica?». Alla questione Ferrero ha dedicato un ampio passaggio delle conclusioni. «Il problema politico è che Vendola sostiene di aver approvato una legge che realizza quanto chiedevano i movimenti. Ma i movimenti dicono che la legge non corrisponde alle loro richieste. Quando c'è una contraddizione tra giunte e movimenti, noi dobbiamo stare dalla parte dei movimenti. Questo, però, non significa che si debba uscire da una giunta. In termini generali, un assessore o un ministro vive sulla propria pelle una contraddizione personale tra le possibilità di manovra di cui dispone e i programmi del suo partito. Ed è una contraddizione che va sopportata».

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